venerdì 26 febbraio 2016

Dialogo della Corruzione - Antonella Barina

Complimenti Mio Caro
addetto alle public relations
Che stile
Grazie a lei in tanti anni
dei morti per cancro
non c’è lapide
numero
nome
nè parte civile

Non è mio tutto il merito
signor Direttore
mi creda
Un lavoro ben fatto
non faccia il modesto
ecco qui l’incentivo

La ringrazio Dottore
le spese son tante
non le voglio mentire
Metta in tasca Mio Caro
lei sa farsi valere
si é fatto sentire

Cosa vuole Dottore
alla fine
il buon senso prevale

Non c’è dubbio Mio Caro
domani
vedremo il giornale

A proposito Signor Direttore
con quei morti noi
non ci abbiamo a che fare

Mio Caro che dice
lei é stanco
le consiglio il riposo

Mi perdoni Signor Direttore
mi creda
non volevo indagare

La saluto Mio Caro
raccomando il relax
si gusti il Natale
Signorina
mi chiami Giobatta
Mio Caro è un relais da cambiare

(Antonella Barina, Madre Marghera, poesie 1967-1997)
UNA COSCIENZA “DI CLASSE” INEDITA
A Marilisa Insani
sorella giovane non dimenticata
e a Carla Beccaria Insani
maestra di scrittura e libertà

In “Madre Marghera” ho raccolto i frammenti di me e del luogo che più di ogni altro mi è matrice, al di là delle mie fughe in giro per il mondo e di quella più evidente e illusoria, che oggi mi fa risiedere a Venezia. Nel riappropriarmene, mi libero di un ingombrante rimosso, peso difficile da portare, tradottosi negli anni in eccesso di coscienza.
Ricercando una logica, una mia logica, nelle impressioni accumulate negli anni, ho cercato di ricostruire – avendo titolo per farlo, di abitante della zona industriale – la prospettiva di chi, senza mai essersene andato davvero, ritorna. Ma il percorso, in questa fase iniziale, è
piuttosto di chi ha vissuto per anni al di fuori dei perimetri delle fabbriche, al cui interno soltanto ora, ancora eccezionalmente, è dato accesso. (…)
Che vi sia dolore fino in fondo è mio privilegio, perché questo accresce la profondità del procedimento. In tutto questo tempo ho sperimentato un’autoanalisi in chiave postindustraile, un esercizio di sopravvivenza in ambiente censorio, un inferno di specchi in cui ho rischiato di perdermi.
Ho lavorato partendo da una coscienza “di classe” inedita: quella dell’abitante che dalla strada osserva le fabbriche, non essendo concesso ai residenti varcare i recinti industriali, così ho finito per amare la strada più di qualunque altra cosa. Per leggere l’esclusione come titolo di merito. Eppure: non vi fosse stata Marghera sarei mai diventata viaggiatrice?
Nell’assoluta deprivazione, infatti, fioriscono risorse insospettate: ciò che auguro anche al territorio di cui parlo. Con l’atto di pubblicazione mi libero anche di buona parte del rimosso che, come giornalista, non ho potuto testimoniare. Rilascio le scorie del processo di liberazione, nella convinzione che non stia più a me riciclarle, né aiutare altri a farlo. Poi le riprendo per dissolverle, definitivamente, in primo luogo dentro di me.

(Antonella Barina, in Madre Marghera, 1997)

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