Complimenti
Mio Caro
addetto
alle public relations
Che
stile
Grazie
a lei in tanti anni
dei
morti per cancro
non
c’è lapide
numero
nome
nè
parte civile
Non
è mio tutto il merito
signor
Direttore
mi
creda
Un
lavoro ben fatto
non
faccia il modesto
ecco
qui l’incentivo
La
ringrazio Dottore
le
spese son tante
non
le voglio mentire
Metta
in tasca Mio Caro
lei
sa farsi valere
si
é fatto sentire
Cosa
vuole Dottore
alla
fine
il
buon senso prevale
Non
c’è dubbio Mio Caro
domani
vedremo
il giornale
A
proposito Signor Direttore
con
quei morti noi
non
ci abbiamo a che fare
Mio
Caro che dice
lei
é stanco
le
consiglio il riposo
Mi
perdoni Signor Direttore
mi
creda
non
volevo indagare
La
saluto Mio Caro
raccomando
il relax
si
gusti il Natale
Signorina
mi
chiami Giobatta
Mio
Caro è un relais da cambiare
(Antonella
Barina, Madre Marghera, poesie 1967-1997)
UNA
COSCIENZA “DI CLASSE” INEDITA
A
Marilisa Insani
sorella
giovane non dimenticata
e
a Carla Beccaria Insani
maestra
di scrittura e libertà
In
“Madre Marghera” ho raccolto i frammenti di me e del luogo che
più di ogni altro mi è matrice, al di là delle mie fughe in giro
per il mondo e di quella più evidente e illusoria, che oggi mi fa
risiedere a Venezia. Nel riappropriarmene, mi libero di un
ingombrante rimosso, peso difficile da portare, tradottosi negli anni
in eccesso di coscienza.
Ricercando
una logica, una mia logica, nelle impressioni accumulate negli anni,
ho cercato di ricostruire – avendo titolo per farlo, di abitante
della zona industriale – la prospettiva di chi, senza mai essersene
andato davvero, ritorna. Ma il percorso, in questa fase iniziale, è
piuttosto di chi ha vissuto per anni al di fuori dei perimetri delle
fabbriche, al cui interno soltanto ora, ancora eccezionalmente, è
dato accesso. (…)
Che
vi sia dolore fino in fondo è mio privilegio, perché questo
accresce la profondità del procedimento. In tutto questo tempo ho
sperimentato un’autoanalisi in chiave postindustraile, un
esercizio di sopravvivenza in ambiente censorio,
un inferno di specchi in cui ho rischiato di perdermi.
Ho
lavorato partendo da una coscienza “di classe” inedita: quella
dell’abitante che dalla strada osserva le fabbriche, non essendo
concesso ai residenti varcare i recinti industriali, così ho finito
per amare la strada più di qualunque altra cosa. Per leggere
l’esclusione come titolo di merito. Eppure: non vi fosse stata
Marghera sarei mai diventata viaggiatrice?
Nell’assoluta
deprivazione, infatti, fioriscono risorse insospettate: ciò che
auguro anche al territorio di cui parlo. Con
l’atto di pubblicazione mi libero anche di buona parte del rimosso
che, come giornalista, non ho potuto testimoniare.
Rilascio le scorie del processo di liberazione, nella convinzione che
non stia più a me riciclarle, né aiutare altri a farlo. Poi le
riprendo per dissolverle, definitivamente, in primo luogo dentro di
me.
(Antonella
Barina, in Madre Marghera, 1997)
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