venerdì 26 febbraio 2016

Il Re e gli Uccelli - Reda Zine

Non si può vietare agli uccelli di cantare. Nè agli uccelli del buon augurio, ancora meno a quelli del malaugurio. Nel processo di disumanizzazione degli stranieri si dimentica che essi sono portatori di kultura. Di esperienza e di ricchezza. Ma a qualcuno dà fastidio questo scambio di coscienze. La musica, il canto nella forma originale di soffio e respiro sono quasi impossibili da censurare. Passano con il latte della madre. Ci hanno provato i mercanti di schiavi e i tiranni attraverso i secoli e fino ai giorni d’oggi e purtroppo ci proveranno domani ancora. Perché fa così paura una semplice filastrocca, una melodia? 
Ne “Le Roi et l’Oiseau”, cartone animato, capolavoro di Paul Grumault e Jacques Prevet (1980), il narratore è l’uccello che introduce la storia con bellissime musiche di Wojciech Kiilar. Comincia raccontando che il Re del magnifico reame nel quale si svolgerà la storia, capitata a lui “e a tanti altri allo stesso tempo”, gli aveva amazzato la moglie in una battuta di caccia reale. La musica accompagna la narrazione per chiamare emozioni di gioia, di paura e di rabbia. Abusi e sfizi del potere reale vengono abilmente messi in luce e derisi dal canto irriverente della figura libera e ribelle dell’uccello. 
I tiranni muoiono, le canzoni sopravvivono.
Ho vissuto sulla mia pelle le ingiustizie della censura a partire dal 2003. I primi gruppi Rock, Hard, Heavy, Trash, Punk, Grunge, Core, Doom, Black, praticamente tutta la scena dell’Extreme Underground che potevi trovare a Casablanca nei anni ’90 formò un fronte, ufficialmente nel 2003, quando lo Stato iniziò a imprigionare i musicisti dai “gusti estremi” con accuse gravissime di “proselitismo antislamico”. Un processo iniquo e kafkiano quello dei “14 satanisti” che di satanista avevano solo il look e la stranezza dell’impatto estetico rispetto ai canoni di un apparato poliziesco bigotto che prova ad appiattire e soffocare le differenze. La risposta della società civile è stata esemplare. Attivisti, giovani, famiglie con i loro bambini hanno manifestato davanti al tribunale per chiedere giustizia per i “giovani musicisti”. Era l’inizio del web 2.0 e io, impotente da Parigi, con altri amici avviai una raccolta di firme e articoli per allertare l’opinione pubblica internazionale sulla sorte dei nostri amici che erano nel buio delle celle da ormai 40 giorni. La pressione ebbe frutti. E il giorno in cui il quotidiano fancese Le Monde decise finalmente di far uscire un articolo su “l’affaire” fu il penultimo dell’incarcerazione della mia ballotta. Dopo quest’episodio ho conosciuto altre realtà in giro per il mondo che si occupano di censura nel mondo della msica. Una di loro è una Ong danese, Freemuse, che lavora sulla difesa del diritto di espressione degli artisti. Grazie a queste realtà si è creata una vasta rete internazionale per fare da cassa alle campagne anticensura di tale artista o altro. Sulla loro scia, in Norveglia alcuni musicisti hanno di recente creato un collettivo, SafeMuse, per aprire un programma di accoglienza per artisti in esilio.
I Voodoo Sound Club, la mia band bolognese, è stata invitata al Music Freedom Day 2016 organizzato, proprio dalle due Ong, a Harstad, in Norvegia. Insieme a una sessione di fiati locale e un collettivo di cantanti, tra cui un palestinese, un siriano e una pioniera del rap iraniano, SalomeMC, andremo a dare volto all’anteprima dello spettacolo “From Zombie to revolutionarys”. Una produzione collaborativa tra varie voci, che in maggioranza provengono da zone liberticide, e il nostro gruppo bolognese che pensa la musica come impegno sociale (promuove iniziative come il Laboratorio Sociale Afrobeat).
Quando si lavora con musicisti che subiscono i fulmini del potere, spesso le produzioni discografiche hanno tempi biblici perché condizionate da strategie di sopravvivenza. Tanti eventi si cancellano perché tale musicista non ha avuto il visto. La libertà di circolazione! Vai a dirlo all’agenzia Frontex o al responsabile marketing di radio supermercato. La musica noi la facciamo uscire per creare sogni, legami. Raccontare le storie che nessuno vuole più farci raccontare. La carta dei diritti dei Musicisti, firmata dal collettivo del Music Freedom Day Bologna / Italia, 2 anni fa, ne è una dimostrazione concreta.  
Dedico questa nostra versione dell’inno “Zombie” del guerriero musicale Fela Kuti, alla quale ha dato un apporto suo figlio Seun Kuti, alle bellissime anime che stanno ogni anno dietro al  Freedom Music Day in Italia, perché odiano l’indifferenza, la mediocrità e l’ingiustizia. Con metodo, ciascuna nel suo campo, attente alle realtà della nostra città e aperte sul nostro Mondo.
p.s. la produzione collettiva “Zombie” by Voodoo Sound Club è disponibile in formato audio sul sito di Freemuse.org. Il video con sottotitoli in inglese è invece disponbile su Youtube.

REDA ZINE  @afnorock

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