lunedì 15 febbraio 2016

Nadia Cavalera - Pensées in libertà vigilata

La scrittura sia essa poesia, narrativa, saggistica o drammaturgia rappresenta la testimonianza unica di chi l’ha prodotta. Censurarla è discriminazione umafemìna (relativa all’uomo e alla donna, ndr), esercizio capillare di razzismo mentale.

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Ammesso che si riesca ad ottenere la piena libertà di parola, siamo sicuri che essa corrisponda ad una piena libertà di pensiero? Il nostro condizionamento è così millenario da risultare ormai controrivoluzionario

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Tutti dovrebbero essere messi in grado di scrivere il libro (singolo o multiplo) della propria vita perché essere poeti è questo e questo soltanto.

Ma c’è chi riesce a dare la propria testimonianza raccontando in parole la musica della sua esistenza innervata alle immagini che l’hanno animata, e chi no.
Ecco la prima e più grande offesa che può farsi all’umafeminità: l’autocensura per l’altrui costrizione dura.

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Chi censura i libri li legge, chi li ignora li dileggia, chi non li scrive si sfregia (: e il modo boccheggia)

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il mondo è di pochi violenti che non possono permettere che la consapevolezza di ciò si diffonda sino a mettere a rischio la loro assoluta predominanza su tutti gli altri, vittime senza appello (con l’eccezione di qualche corvo fratello)

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la verità oscurata è una menzogna onorata

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sarebbe tempo ormai di censurare i censori, sporchi sfruttatori senza onori

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Siamo tutti sotto censura continua e dura ma per non rendercene conto i padroni ogni tanto si dilettano a darci in pasto qualche caso più eclatante (: per loro esilarante) di verità rivelata

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Ammesso che tutti riuscissimo a scrivere i libri che vogliamo e come vogliamo senza tema di limitazioni esterne, saremmo soggetti comunque ad una censura: quella del più ferrato o raccomandato nella diffusione e distribuzione (: la totalità non ha stato).



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